C’è sempre stata una nobile autorevolezza nei pensieri forti, diritti o contrari di Mario Sconcerti, scomparso oggi all’età di settantaquattro anni. Sconcerti, Direttore, che studiava il pallone a tarda notte, che vergava parole con fiera onestà. Che rivendicava la schiena dritta e le proprie idee, lui che aveva la Fiorentina nel cuore e una valigia carica di ricordi. Un pozzo da cui abbeverarsi, imparare, un’icona da ascoltare, osservare. Perché Sconcerti ha disegnato la storia del nostro e del suo amato sport. Amava la tattica, tanto che “Storia delle idee del Calcio”, la sua opera più importante, è un riferimento per chiunque voglia conoscerne le origini, gli sviluppi, le ramificazioni, l’acqua che parte da una piccola sorgente inglese e poi scroscia giù, sulle rive lontane del Sudamerica, dell’Italia, i Mondiali, e i racconti di tutto quel che ci ha sempre accompagnato.
Disegnava ritratti e quando scavava nell’album dei ricordi, delle memorie, imprimeva sulla carta leggera dei tratti forti, unici, riconoscibili. “Paolo Rossi era mio amico. Forse è per questo che non riesco a scrivere la sua morte. Non so scegliere tra i ricordi. Cominciare dai tre gol al Brasile è facile ma non mi sembra corretto”. Sconcerti scavava nell’animo dell’uomo, aveva idee che parevano imperturbabili e immutabili e poi era capace di girare il muso alla sua fuoriserie e cambiare rotta. Di prendere la direzione del vento della verità, non solo della sua. Ha lavorato coi grandi, è stato tra i grandi. Quando nel ’79 arrivò a La Repubblica, in quella redazione arrivarono Gianni Brera, Gianni Mura, Mario Fossati, Emanuela Audisio. E’ stato il vicedirettore di Candido Cannavò alla Gazzetta dello Sport, non aveva timori reverenziali e calcisticamente un grande amore. Il Viola.
A settantaquattro anni aveva l’anima del ragazzo alla ricerca della frase perfetta, non per far colpo, non per piacere, non per piacersi, ma per conquistare con quelle parole il senso giusto della verità. Una delle sue ultime pièce è stato il colloquio con Massimiliano Allegri, del quale ha avuto modo poi di spiegare che non bisogna piegarsi all’opacità, all’uniformità, al grigiore di quel che oggi il sistema pallone vuol far diventare la comunicazione. Che serve rompere gli schemi, saltare i muri, raccontare. L’essenziale è visibile agli occhi, del presente e della storia. C’è tutta, quella del calcio, del nostro, e dell’amato sport di Mario Sconcerti, nelle sue parole, nei suoi scritti. Che resteranno per sempre. Lo scrive TMW